Biografia e cronologia delle opere di Ludwig van Beethoven: 1793
A cura di Daniele Scarpetti
Per far fronte alle esigenze economiche a Vienna, Beethoven nell’aprile 1793 scrisse una lettera[1] al principe elettore Maximilian Franz per chiedere di poter continuare a riscuotere lo stipendio del padre. Questi acconsentì e il 3 maggio, decretò il proseguimento dell’erogazione dell’assegno in quote trimestrali: questa “sovvenzione” continuò fino al marzo 1794.
Beethoven, con i suoi valori illuministi e repubblicani, si trovò ad inserirsi in un contesto, quello della società viennese, rappresentato da una parte da una borghesia che aveva fatto propri gli ideali democratici e di libertà nelle arti e dall’altra dall’aristocrazia, reazionaria, ma che possedeva i mezzi economici per sostenere gli artisti – ed i musicisti in particolare – che a Vienna più che nelle altre capitali europee, avevano necessità di avere l’appoggio di mecenati. Ne conseguiva che la nobiltà più ricca, nelle sue residenze di città e di campagna, manteneva anche vere e proprie orchestre ed era lì che si svolgevano gran parte dei concerti e di tutta la vita musicale.
Egli allora iniziò a costruire con la classe dominante quel rapporto ambivalente e paritario e, tutto sommato, spesso ambiguo ma mai ipocrita, che costituì un compromesso fra l’affermazione dei suoi ideali e la piena consapevolezza di non potere comunque fare a meno dell’appoggio dell’aristocrazia. Per lui, personalità fortemente dualista, non fu affatto difficile: «(…) Aristocrazia e democrazia, individualismo e collettivismo, libertà sfrenata e disciplina severa si uniscono e contraddicono in una sintesi che Camille Bellaigue, sempre pensando all’arte, esprime così: «Ogni opera di Beethoven è simultaneamente una e multipla. Tutto vi è personale e, insieme, mutuale. Per questo Beethoven è il maestro dei maestri.
Proclama e applica le due leggi della vita sociale superiore. Da lui possiamo imparare non solamente con chi, ma sotto chi dobbiamo vivere. Ci propone il duplice ideale di una solidarietà universale e di una sovrana autorità.(…) Niente maschera e volto dunque. Ma un volto di razza superiore che offre, a volta a volta, diverse maschere. La dualità è attributo di una natura super legem, quasi una bilocazione, quella capacità che la chiesa riconosce a pochi santi privilegiati, di trovarsi simultaneamente in due luoghi diversi. Chi non lo accetta così, mai arriverà a conciliarsi con Beethoven.(…)».[4]
Si tratta di uno dei momenti più ispirati della biografia beethoveniana di Piero Buscaroli; peccato però che nel prosieguo del suo testo egli si sia dimenticato completamente del messaggio universale e illuminista che Beethoven trasmise attraverso la sua musica, concentrandosi unicamente sul suo lato più individualista e, sotto certi aspetti più – così egli lo ha definito – “reazionario”. Questo concetto trova il suo acme, quando affrontando l’Inno alla gioia, ribadirà quanto già per altro asserito dal musicologo nazista Hans Joachim Moser nel 1941 e cioè che l’umanità a cui Beethoven si riferiva non era quella universale, ma esclusivamente quella tedesca.
Il rapporto di Beethoven con Haydn fu molto controverso e contraddittorio. L’anziano compositore, capì subito che l’uomo cui stava dando lezioni, non solo era designato a prendere il suo posto come “primo compositore”, ma che lo avrebbe anche superato in grandezza. Il caso – o per chi ci crede, il destino – fu in effetti assai beffardo con questo grandissimo compositore che, se nel suo percorso musicale non avesse incontrato prima Mozart e poi Beethoven, oggi sarebbe considerato il più grande del periodo storico successivo a Johann Sebastian Bach e George Friderich Händel. Ma se con Mozart il rapporto fu caratterizzato da un sentimento di sincera amicizia, sincero e quasi paterno affetto e sgrandissima stima, altrettanto non fu con Beethoven.
Le lezioni durarono circa un anno e due mesi – con un’interruzione di alcune settimane fra maggio e giugno – e cioè fino al gennaio 1794, quando il 19, Haydn ripartì per un altro viaggio verso Londra. In quest’anno i loro rapporti furono comunque, almeno apparentemente, contrassegnati da una certa amicizia.
Sul piano delle lezioni musicali, però, Beethoven fu ben presto consapevole che gli insegnamenti in materia di contrappunto erano insufficienti. Egli si convinse che questo atteggiamento di Haydn, fosse dovuto a gelosia ed invidia; i biografi, vanno ben oltre e, secondo alcuni di loro, ci fu da parte di Haydn nei confronti di Beethoven, una vera e propria antipatia, se non addirittura, una repulsione verso il suo aspetto fisico caratterizzato dalla pelle olivastra e dallo sguardo selvaggio: per questo motivo lo soprannominò Gran Mogol. Contemporaneamente però Haydn non poté non riconoscere, in realtà per pavoneggiarsi con Maximilian Franz, che: «(…) Beethoven diventerà col tempo uno dei maggiori compositori europei e io sarò orgoglioso di potermi chiamare il suo maestro (…)».[5]
Proprio perché consapevole delle carenze dell’insegnamento di Haydn, il genio di Bonn di nascosto prese anche lezioni da Johann Baptist Schenk: questi si raccomandò, infatti, di non farlo sapere ad Haydn ma sono sicuro che Beethoven non avrebbe comunque detto nulla al suo maestro ufficiale. I due si conobbero grazie a Joseph Gelinek, pianista ed insegnante che, a sua volta, conobbe Beethoven probabilmente tra dicembre 1792 e gennaio 1793, nell’ambito delle disfide fra pianisti che ebbero luogo fin dall’arrivo del compositore a Vienna.
Gelinek fu sconfitto, ma fra loro nacque dapprima un’amicizia che poi nel 1794, per cause probabilmente addebitabili ad entrambi, finì. Fu proprio Gelinek che rivelò ad Haydn, delle lezioni con Schenk. Quest’ultimo, nel 1830, scrisse una memoria in cui raccontò di come avvenne la sua conoscenza di Beethoven ma, purtroppo, il suo racconto risulta molto confuso e contraddittorio, probabilmente a causa dell’età ormai avanzata e dei ricordi ormai annebbiati.
Cerchiamo dunque di mettere un po’ d’ordine al suo racconto: «(…) A fine luglio l’Abbé Gelinek mi fece sapere di aver fatto la conoscenza di un giovane che dimostra al pianoforte un’abilità rara come egli non ha più sentito dopo Mozart. Al tempo stesso spiegava che Beethoven aveva iniziato già da sei mesi a studiare contrappunto con Haydn e che era ancora fermo al primo esercizio (…)»[6]. È del tutto evidente come fosse impossibile che questi eventi fossero avvenuti nel luglio del 1793 e non solo perché già da otto mesi Beethoven prendeva lezioni da Haydn ma, anche perché, vista la mole di esercizi fatta con Haydn, è assolutamente inverosimile che dopo così tanto tempo fossero ancora al primo esercizio e, per questo motivo, quest’incontro fra Gelinek e Beethoven non può che essere avvenuto, come ho già scritto, fra il dicembre 1792 e il gennaio del 1793 e cioè circa un mese o due dopo l’inizio delle lezioni con Haydn.
Gelinek in quel periodo presentò Beethoven a Schenk il quale acconsentì a dare, a sua volta, lezioni a Beethoven: «(…) Ad una semplice scorsa riscontrai in ogni tonalità qualche errore (…). Poiché avevo ormai la certezza che il mio allievo non conosceva le regole basilari del contrappunto, gli diedi il notissimo manuale di Joseph Fux “Gradus ad Parnassum” (…)»[7]. Ma poi andando avanti nello scritto di Schenk fu egli stesso a contraddirsi nelle date: «(…) All’incirca dopo la metà di marzo mi fece sapere che presto si sarebbe recato con Haydn a Eisenstadt e che vi si sarebbe trattenuto fino all’inverno (…)».[8] È del tutto evidente che se Gelinek avesse conosciuto a luglio Beethoven, a marzo non poteva certo presentarlo a Schenk.
Una delle prime persone che Beethoven conobbe al suo arrivo a Vienna – probabilmente in casa del principe Karl Alois Lichnowsky che frequentava abitualmente – e con cui fece subito amicizia, fu Nikolaus Paul Zmeskall von Domanovecz, impiegato nella cancelleria di corte ungherese a Vienna nonché violoncellista e compositore. Fu proprio a questi che Beethoven in una lettera[9] del 18 giugno, annunciò la sua partenza per Eisenstadt per il giorno seguente. Ma quello che mi colpisce, in particolar modo, in questo scritto è il finale della lettera: «Mi ami come l’ama e l’ammira il Suo amico».[10] Dietro a questi eccessi affettivi nei confronti di una persona appena conosciuta, s’intravede da parte di Beethoven un bisogno di affetto, di amicizia, di rapporti umani che fu in assoluta contraddizione con quelli che furono i suoi reali sentimenti verso gli amici di Vienna, assai diversi da quelli che furono per lui gli amici di Bonn. Questa differenza, come ben rilevato da Klaus Kropfinger, appare chiara fin dall’uso del pronome tu, verso gli amici di Bonn e del pronome lei nei confronti degli amici di Vienna ed è poi resa molto esplicita in una lettera dell’1 luglio 1801 a Carl Amenda a Wirben dove Beethoven affermò: «(…) tu non sei un amico viennese, no, tu sei uno di quelli che la mia terra natale suole produrre (…)».[11]
Ma ritorniamo alla partenza di Beethoven per Eisenstadt avvenuta dunque il 19 giugno 1793 per raggiungere Haydn che, fin dal mese di maggio, vi si trovava.
Quel giorno Schenk raccontò che si recò da Beethoven per la solita lezione e invece trovò un solo bigliettino sulla porta: «Caro Schenk, non avrei voluto partire per Eisenstadt, Contavo di poter ancora parlare con Lei. La ringrazio per tutte le cortesie che mi ha usato. Cercherò di ricambiargliele secondo le mie possibilità. Spero di rivederla presto e di poter godere del piacere della Sua compagnia. Addio e non dimentichi del tutto il Suo Beethoven.».[12]
Da questo si deduce che le lezioni con Schenk si svolsero fra il marzo e il giugno del 1793 – Thayer-Forbes ritennero fin solo verso la fine d’aprile – e che, al ritorno di Haydn e Beethoven a Vienna fra la fine di luglio e l’inizio d’agosto – queste non ripresero. Anton Schindler, assistente di Beethoven dal 1822 e suo primo biografo, scrisse che nel 1824, avvenne un incontro casuale fra Beethoven e Schenk,.
I due non si erano più rivisti dai tempi delle lezioni e l’occasione fu dunque buona per ricordare quei tempi: «(…) vennero alla memoria anche gli episodi degli anni 1793-94, quando avevano ingannato papà Haydn senza che questi si fosse mai accorto di nulla, e questo ricordo fece scoppiare Beethoven in una sonora risata.(…)»[13].
Importantissima fu la lettera che Beethoven spedì da Eisenstadt ad un dipendente dell’editore Artaria perché fu questa la prima casa editrice con cui egli inaugurò quel rapporto fra compositore ed editore che mai prima, nella storia della musica era esistito: fu l’atto con cui Beethoven diede una valenza al mestiere del compositore di tipo imprenditoriale.
Non più una figura asservita ai suoi mecenati, ma un musicista che decide, di volta in volta, cosa comporre e quali musiche su commissione accettare o no. Il rapporto che Beethoven instaurò con gli editori, fu caratterizzato spesso da estenuanti trattative, riguardanti soprattutto il valore monetario delle varie opere che offriva e, altrettanto spesso, da richieste di correzione degli errori che riscontrava nelle partiture stampate.
Questo fu proprio il caso riportato nella lettera dove, a proposito delle Dodici Variazioni per violino e pianoforte sul tema “Se vuoi ballare” dalle Nozze di Figaro di Mozart, il compositore rilevò diversi errori e, dopo averli elencati, così concluse: «(…) La sto proprio tormentando con queste piccolezze, anche se sarà il primo a constatare che non sono errori insignificanti. La prego quindi di fare apportare sollecitamente tutte le necessarie modifiche (…)».[14] Si può dunque ben dire che fin da subito Beethoven seppe entrare a pieno titolo in questo ruolo imprenditoriale inedito fino a quel momento nella storia della musica per un compositore. Dalla lettera del 2 novembre 1793 ad Eleonore Von Breuning possiamo estrapolare nel post scriptum qualcosa che ci descrive quella che fu l’atmosfera da cui, fin dal suo arrivo, Beethoven fu circondato. Egli si scusò del fatto che le Variazioni per pianoforte che le spedì erano un po’ difficili e gliene spiegò il perché: «(…) Non avrei mai fatto niente di simile se non avessi già spesso notato a Vienna che uno, di tanto in tanto, ascoltate le mie improvvisazioni per lo più di sera, il giorno seguente le mette sulla carta e se ne fa bello; prevedendo che si affretti a pubblicarle a suo nome, ho deciso di precederlo. C’è pure un altro motivo, ossia tendere una trappola ai locali maestri di pianoforte, alcuni sono dei miei nemici giurati.(…)».[15]
Ho già scritto, parlando dello scontro avuto con Gelinek, di come Vienna accolse Beethoven più che come compositore, come temuto pianista di ottime doti e fu proprio in questo campo che, fin dall’inizio della sua permanenza nella capitale asburgica, si creò quegli innumerevoli nemici, in quanto – come del resto Beethoven spiegò nella lettera ad Eleonore – tutti i grandi pianisti viennesi erano preoccupati di essere messi in ombra dalle sue notevoli e superiori capacità nel suonare e, soprattutto, dalla capacità d’improvvisare al pianoforte. Insomma per Beethoven continuò quella prassi di confronto-scontro con gli altri pianisti già, per altro, inaugurata a Bonn e che lo vide sempre vincente.
Carl Czerny nelle sue memorie ci fornisce un’idea di come poteva essere lo stile di esecuzione pianistica di Beethoven: «(…) predomina una forza caratteristica ed appassionata che si alterna a tutti gli splendori del cantabile legato. I mezzi espressivi vengono portati spesso all’estremo, in particolare quando si tratta di passaggi allegri e spiritosi. In questi casi, lo stile sapido preminente, può essere adottato solo di rado. Più spesso, perciò, si devono ricercare gli effetti complessivi, in parte con un legato sonoro, in parte con un abile uso del pedale (…) seppe carpire al fortepiano passaggi inediti e audaci grazie all’uso del pedale e ad un’esecuzione straordinariamente personale, caratterizzata in particolare dallo stretto legato degli accordi che costituiva quindi un nuovo tipo di canto, effetti mai immaginati fino ad allora.
La sua esecuzione non possedeva quell’eleganza pura e brillante di qualche altro pianista, era però arguta, grandiosa e, specialmente negli Adagio, estremamente romantica e ricca di sentimento. La sua interpretazione era un dipinto sonoro di livello superiore, concepita solo in vista dell’effetto generale, come le sue composizioni.».[16] Ho già accennato al fatto che Haydn anticipò parte delle spese che Beethoven dovette sostenere in quel primo anno a Vienna e a novembre il credito ammontava già a 500 fiorini. Preoccupato da questo fatto, il maestro e l’alunno decisero di mandare due lettere – una ciascuno – datate 23 novembre 1793, al principe elettore Maximilian Franz a Bonn, affinché accordasse un aumento a Beethoven.
Nella sua lettera Haydn così scrisse: «(…) mi premo di inviare (…) alcuni pezzi musicali, ossia un quintetto,[17] un concerto per oboe,[18] variazione per fortepiano[19] e una fuga[20] (…). Mi lusingo (…) li voglia accettare magnanimamente come un segno eloquente della sua particolare diligenza oltre che della sua applicazione agli studi. (…). Visto che parliamo di Beethoven mi permetta (…) di spendere qualche parola a proposito della situazione economica. Per lo scorso anno gli furono assegnati 100 ducati. Che questa somma sia insufficiente anche solo per mantenersi in vita, n’é sicuramente consapevole Vostra Altezza stessa (…). Dati i presupposti mi sono fatto per lui garante e, in parte gli ho anticipato del denaro liquido (…) ho pensato che, se Vostra Altezza Serenissima gli assegnasse per il prossimo anno 1000 fiorini, risponderebbe magnanimamente alle sue aspettative (…)»[21]
Nella sua lettera[22] Beethoven scrisse: «(…) Mia unica aspirazione è di rendermi degno del favore altissimo di Vostra Altezza Serenissima il principe elettore. Mirando a tale scopo, ho dedicato quest’anno tutte le mie energie spirituali interamente alla composizione, per poter essere in grado il prossimo anno di inviare (…) cosa che sia maggiormente meritevole della Sua generosità e magnanimità nei miei riguardi, rispetto a quello che il signor Haydn inviò (…)».[23]
La risposta di Maximilian Franz fu spedita il 23 dicembre: «Ho ricevuto la musica del giovane Beethoven, che Lei mi ha inviato, insieme alla sua lettera. Siccome però tutta questa musica, con la sola eccezione della fuga, è già stata dallo stesso composta ed eseguita a Bonn, prima del suo viaggio a Vienna, non può costituire prova di progressi compiuti in questa città.
Quanto all’erogazione di cui ha fin’ora fruito per il suo mantenimento a Vienna, è vero che ammonta a 500 fiorini, ma, accanto a questi 500 fiorini bisogna calcolare anche lo stipendio di 400 fiorini che riceveva qui e che continua a percepire sino a oggi. (…) Non riesco quindi a capire come la sua situazione economica abbia potuto tanto deteriorarsi come lei mi scrive. (…)».[24] A parziale discolpa di Beethoven rilevo che, se è vero che quei lavori furono concepiti a Bonn, è altrettanto vero che essi furono rivisti e perfezionati a Vienna perché le partiture a noi giunte sono tutte scritte sulla carta di quella città.
Probabilmente, lontano dalla sua Bonn, dai suoi amici e dai suoi fratelli, verso cui sentì sempre una grande responsabilità Beethoven ebbe un nuovo vuoto creativo che, come nel 1787, anno della morte della madre, coincise con una prostrazione psicologica. Forse – ma non abbiamo alcuna certezza – entro la fine dell’anno, Beethoven portò a termine il primo dei 3 Trii per pianoforte, violino e violoncello, quello che diventò, al momento della sua pubblicazione nel 1795, l’Opus 1 n. 1. Anche in questo caso però, si tratta di musica già composta a Bonn.
[1] Lettera n. 7. Ludwig van Beethoven: Epistolario 1783 – 1807 Volume I. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[2] Die Stammbücher Beethoven und der Babette Koch. Beethoven – Haus Bonn 1995.
[3] Lettera n. 11 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[4] Piero Buscaroli: Beethoven. Rizzoli editore
[5] Lettera n. 13 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[6] Alexander Wheelock Thayer: Ludwig van Beethovens Leben. Da H. C. Robbins Landon: Beethoven. La sua vita e il mondo in documenti e immagini d’epoca. Rusconi editore
[7] Alexander Wheelock Thayer: Ludwig van Beethovens Leben. Da H. C. Robbins Landon: Beethoven. La sua vita e il mondo in documenti e immagini d’epoca. Rusconi editore
[8] Alexander Wheelock Thayer: Ludwig van Beethovens Leben. Da H. C. Robbins Landon: Beethoven. La sua vita e il mondo in documenti e immagini d’epoca. Rusconi editore
[9] Lettera n. 8 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[10] Lettera n. 8 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[11] Lettera n. 67 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[12] Lettera n. 9 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[13] Anton Schindler: Ludwig van Beethoven. Da H. C. Robbins Landon: Beethoven. La sua vita e il mondo in documenti e immagini d’epoca. Rusconi editore
[14] Lettera n. 10 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[15]Lettera n. 11 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[16]Carl Czerny: Vollständige theoretisch-praktische Pianoforte Schule, Vienna, senza data, parte III, cap 15, Kerst I, 63. Da H. C. Robbins Landon: Beethoven. La sua vita e il mondo in documenti e immagini d’epoca. Rusconi editore
[17] Presumibilmente il WoO 208 – Hess 19, oggi conservato allo stato di frammento
[18] WoO 206 – Hess 12, oggi scomparso, possediamo solo gli incipt dei tre movimenti di pugno di un copista della Beethoven-Haus di Bonn e abbozzi a Londra alla Brithish Library del secondo movimento
[19] Non identificabili con certezza: potrebbero essere le WoO 40 o le WoO 66
[20] Questo pezzo risulta oggi scomparso ed è stato catalogato da Hess con il n. 315
[21] Lettera n. 13 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[22] Lettera n. 12 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[23] Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
[24] Lettera n. 14 dell’Epistolario di Ludwig Van Beethoven volume I 1783-1807. A cura di Sieghard Brandeburg. Skira editore
Cronologia delle opere di Ludwig van Beethoven: 1793
A cura di Daniele Scarpetti
- Opus 52 n. 3 Lied per voce e pianoforte “Das Liedchen von der Ruhe”
- WoO 116 Due versioni del Lied per voce e pianoforte “Que le temp me dure”
- WoO 40 12 Variazioni sulle “Nozze di Figaro” di Mozart per piano e violino
- WoO 213 Quattro Bagatelle (Già Biamonti 283-282-284 e 275)
- WoO 81 Bagatella in tempo di Allemande per pianoforte in la magg.
- WoO 212 Bagatella in tempo di Anglaise in re maggiore per pianoforte
- Hess 60 Bagatella in la maggiore (Frammento) per pianoforte
- Biamonti 269 Bagatella “Andante molto” in mi bemolle per pianoforte